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Un saluto a Rebhi Eid

 

Caro Rebhi,

 

l’anno scorso di questi giorni passavamo insieme le ultime settimane del tuo cammino su questa Terra.

E’ stato un dono accompagnarti in quel percorso, così ricco di nobiltà e tranquillità, di forza e di fede. E in quella morte così gentile e protetta.

L’hai abbracciata, la Morte, restando sempre con la tua testa lassù nel cielo, così alto e fine, come una statua etrusca, col tuo lunghissimo indice alzato , e le parole poche e calme. Come un imperturbabile  capitano di vascello sicuro tra le onde, al timone del mondo.

L’hai abbracciata e non ti faceva paura.

Pensavo che questo fosse stato il tuo regalo: star vicino a certe morti (come fu anche quella di mio papà) ti toglie un bel po’ del terrore della morte.

Ma in questo anno che è passato , ho scoperto un’altra cosa preziosa.

In quei giorni mi hai fatto promettere due volte, con quella tua elegante solennità, che mi sarei preso cura dei tuoi pazienti, a cui tenevi tanto.  E’ quello che ho cercato di fare in questi mesi.

Come succede a tutti, mi sono tante volte chiesto per che cosa valesse la pena d’esser vissuti.

Stando vicino ai tuoi pazienti, ho visto quale grande incoraggiamento sei stato tu per loro, non solo per la loro salute. Quanti ti sono grati. Con quale commozione ti ricordano, quanto abbia cambiato la loro vita incontrarti. Molti raccontano che per la prima volta  hanno sentito di affidarsi ad una guida per un cammino . Tanti mi dicono ancora stupiti che con te sono riusciti a realizzare cose che non credevano di poter fare…

Grazie ai tuoi pazienti mi hai regalato un ottimo motivo per cui vale la pena d’esser vissuto: esser ricordati così.

Sii felice.

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